Napoli, i costi salgono a 240 milioni. È record! Il nuovo stadio è un'illusione
I numeri pubblicati da Calcio e Finanza parlavano già chiaro: tra costo della rosa oltre i 240 milioni, ammortamenti in crescita e dipendenza strutturale dalle plusvalenze, lo scenario attuale era già scritto.

La fotografia economica del Napoli che emerge dai dati pubblicati da Calcio e Finanza racconta più di una semplice stagione di spese elevate o di un mercato aggressivo. Racconta, come più volte ribadito anche su queste colonne, un modello “nuovo”, una struttura, quasi un paradigma gestionale che negli ultimi tre anni anni, pur permettendo al club di restare competitivo, mostra oggi limiti evidenti e dinamiche non più eludibili. La prima riguarda la necessità strutturale di generare plusvalenze. La seconda, ancora più pesante, è l’impossibilità di sostenere investimenti infrastrutturali ambiziosi senza un apporto di capitale fresco da parte della proprietà.
Napoli, il costo rosa sale a 240 milioni di euro
Il dato più rilevante è l’esplosione del costo della rosa. L’analisi di Calcio e Finanza certifica che per la stagione 2025/26 il Napoli sosterrà un costo complessivo di 240,5 milioni, una cifra mai raggiunta nella gestione attuale e superiore di oltre il 20% al dato dell’anno precedente. Nel dettaglio, gli ammortamenti della rosa pesano 86,5 milioni, mentre il monte ingaggi – comprensivo del nuovo contratto di Antonio Conte e degli acquisti estivi – raggiunge 150,5 milioni. È un livello quasi identico, per ordine di grandezza, a quello sostenuto nel 2023/24 dopo lo scudetto, ma ottenuto quest’anno senza lo stesso volume di ricavi europei, senza premi UEFA e dentro un quadro di minore stabilità sportiva.
La pressione strutturale di questi costi non è episodica, né modulabile. Ammortamenti e stipendi sono oneri rigidi, ricorrenti, indipendenti dai risultati sportivi e quindi difficili da ridurre nel breve periodo. È questo il vero cuore della questione: con una rosa che costa quasi un quarto di miliardo l’anno, il club non può più contare solo sui ricavi operativi tradizionali. Il bilancio 2024/25, chiuso con una perdita di 21,4 milioni, nonostante un incasso complessivo ancora significativo tra diritti TV, biglietteria e sponsorizzazioni, evidenzia come il margine di manovra sia ormai ridotto al minimo.
Le plusvalenze sono importanti
In questo contesto le plusvalenze non sono più una scelta tecnica, un’opportunità o un modo intelligente di rinnovare la rosa. Sono diventate un ammortizzatore essenziale. Il mercato estivo 2025, pur segnato da un forte investimento in entrata, è stato bilanciato da un risultato netto positivo ottenuto grazie a cessioni importanti, al risparmio sugli ingaggi dei giocatori usciti e alla riduzione degli ammortamenti legati ai cartellini ceduti.
Questo significa che ogni calciatore non è più soltanto un capitale tecnico, ma una voce del conto economico. L’affezione sportiva, la volontà di costruire cicli lunghi, la continuità di un progetto attorno a un gruppo stabile sono concetti che appartengono a un’altra epoca finanziaria. Dentro un modello in cui i costi fissi schiacciano i ricavi, la vendita periodica dei migliori giocatori è un passaggio necessario, quasi una legge interna del sistema. La plusvalenza non è una strategia: è un dovere contabile.
Quasi impossibile investire su infrastrutture
L’aspetto più rilevante è però un altro. Alla luce di questi numeri, l’idea di sostenere investimenti infrastrutturali di grande portata – come un nuovo centro sportivo o uno stadio di proprietà – appare irrealistica senza un imponente aumento di capitale. Un’infrastruttura sportiva moderna richiede decine, a volte centinaia di milioni di euro. Nessuno dei flussi attuali del Napoli è in grado di generare quella liquidità. Né i ricavi operativi, stabilizzati ma non in crescita strutturale, né il player trading, che per sua natura è ciclico e imprevedibile. Le stesse riserve patrimoniali, pur consistenti, possono coprire perdite gestionali occasionali (quante volte ho ripetuto che il Napoli poteva permettersi un solo anno senza Champions League!), non finanziare opere immobiliari pluriennali.
Il punto critico
Il punto critico è proprio questo: un club che destina quasi l’80% dei propri ricavi ai costi della squadra non può accumulare capitale interno sufficiente per investimenti a lungo termine. E non può farlo nemmeno immaginando un futuro di plusvalenze continue, perché un modello basato sulla vendita ricorrente dei migliori giocatori è intrinsecamente instabile. La mancanza di un capitale proprio adeguato costringe quindi a una scelta: ridurre i costi oppure immettere denaro fresco.
Il Napoli ha dimostrato negli anni di saper gestire con rigore i conti e di mantenere stabilità anche in scenari complessi. Ma il quadro attuale è diverso. La crescita sostenuta dei costi della rosa, la necessità di plusvalenze per tenere in equilibrio il bilancio e l’assenza di ricavi straordinari impediscono qualsiasi salto di scala senza un intervento patrimoniale diretto. Le visioni futuristiche su stadi nuovi e centri sportivi moderni rischiano di restare tali, se non accompagnate da un’iniezione di capitale che esula dalla gestione ordinaria.
Il nuovo stadio è un'illusione...
Ecco la sintesi più onesta che la finanza calcistica può offrire: in questo momento il vero progetto del Napoli non è costruire un impianto nuovo, ma mantenere sostenibile il proprio modello economico. E la sostenibilità passa obbligatoriamente attraverso le plusvalenze. Finché la rosa costerà 240 milioni l’anno, ogni idea di infrastruttura sarà un’illusione contabile. Finché non entrerà capitale fresco, l’equilibrio resterà fragile. E finché l’equilibrio resterà fragile, nessuno potrà davvero affezionarsi ai propri calciatori. Perché, prima o poi, sarà la contabilità e non il campo a decidere il loro destino.
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